“La nostra casa per l’estate era a Forte dei Marmi.
A noi bambini era stata assegnata per giocare una stanza, saltata fuori inaspettata dal progetto di mio padre quando i lavori in costruzione erano già iniziati da tempo. La stanza si trovava sopra il garage, aveva il soffitto basso e due grandi finestre. Era arredata in maniera alquanto fortunosa: il letto della nannie di nostro cugino Giovanni (la nannie era tornata in Svizzera quando mio cugino aveva cominciato la scuola), un biliardino, la collezione di sci di legno e di racchette da tennis di legno dei miei genitori, una cesta con i giochi da tavolo e un mobile bar che proveniva dalla primissima casa della famiglia, arredata con il gusto moderno degli anni Cinquanta repentinamente abbandonato con il ritorno all’ordine nella casa definitiva.
C’erano, inoltre, avventurosi tendaggi rossi, ricavati da non so quale stoffa, forse un telo da mare e dotati di pon pon.
A quei tendaggi, la stanza dovette il suo nome.
La battezzammo, infatti, di comune accordo, mio fratello e io, “l’infernetto”, perché quando le automobili di famiglia rientravano la sera, illuminavano con i fanali le tende chiuse e la stanza magicamente si colorava di rosso.
Nell’infernetto, mio fratello e io ricevevamo i bambini nostri amici, figli degli amici dei nostri genitori, che a loro volta ricevevano i figli degli amici dei loro genitori, in una catena di relazioni tipica delle vecchie famiglie toscane.
Di solito, usavamo l’infernetto a settembre, quando l’aria sentiva di umido già dopo le quattro di pomeriggio, e poi durante le vacanze di Natale e di Pasqua, che trascorrevamo al mare, almeno per i primi anni dopo che la casa fu costruita.

Nell’infernetto si giocava parecchio ma, a un certo punto, verso le sei, dopo che la tata ci aveva portato la merenda, smettevamo di giocare.
I bambini si sedevano in cerchio, e io mi mettevo a raccontare. Raccontavo storie che mi inventavo lì per lì, e mi divertivo moltissimo.
Anche gli altri bambini si divertivano moltissimo e quando arrivavano i genitori per riportarseli a casa, protestavano vivacemente. Ma la storia non è finita! dicevano. I genitori, inflessibili come erano i genitori degli anni Sessanta, non sentivano ragioni, i bambini venivano imbacuccati e portati via. Mi ricordo le loro proteste, mentre scendevano le scale opponendo resistenza, e le facce deluse che rivolgevano all’infernetto da sotto in su quando attraversavano il giardino. Il loro disappunto mi faceva un enorme piacere, confesso.
E alla fine, prima della cena e prima del dovere del bagno, veniva la parte più eccitante. Restavamo soli, mio fratello e io. Ci sedevamo per terra sul tappeto, ricordo che era un tappeto probabilmente messicano rosso e blu. Tiravamo le tende. Spegnevamo la luce.
E nel fiammeggiare dell’infernetto, io finivo la mia storia.
Solo per mio fratello.
Ricordo come mi sorprendeva il fatto che la mia storia se ne uscisse dalla mia bocca in maniera automatica, del tutto estranea alla mia volontà.
Io stessa ascoltavo stupita quello che raccontavo.
Ecco, io credo che le mie storie nascano tutte da lì.”

AI LETTORI »

VOI MI INTERESSATE MOLTO. NON SOLO PERCHÉ, GRAZIE A VOI, IO POSSO FARE QUELLO CHE MI FA STARE BENE, CIOÈ INVENTARE STORIE. MI INTERESSA CONOSCERVI. E MI INTERESSA CHE VOI MI CONOSCIATE. PER QUESTO, HO SCRITTO ALLA FINE DI “UNA VITA IN PIù” DUE PAGINE DEDICATE SOLO E ESCLUSIVAMENTE A VOI. PENSAVO DI RINGRAZIARVI E BASTA. UN ROMANZIERE DEVE TUTTO AI SUOI LETTORI: SIETE VOI CHE PARLANDONE E CONSIGLIANDOLO, FATE IL SUCCESSO DI UN ROMANZO. PERSINO SE NE DITE MALE, FATE DEL BENE AL ROMANZO. MA, MENTRE VI SCRIVEVO, È SUCCESSA UNA COSA STRANISSIMA. VOI, PROPRIO VOI, AVETE SCOPERTO UN SEGRETO CHE MI RIGUARDA.
IO NON LO SAPEVO, MA SIETE VOI CHE MI AVETE FATTO TROVARE DA DOVE VIENE LA MIA ISPIRAZIONE.
GRAZIE DUE VOLTE.